Sant'Antonio bombardata - Parrocchia Sant'Antonio a Trebbia

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Sant'Antonio bombardata

Storia > La 2^ Guerra Mondiale
1/10/1944, una domenica, giorno della Madonna del Rosario, giorno che, nelle famiglie che potevano, era tradizione solenizzare con l’anatra arrosto a pranzo, alle ore 10,46 apparvero su Piacenza 117 bimotori B.25 Mitchell, provenienti da basi dislocate in Corsica. Puntarono sui Molini degli Orti. In soli 13 minuti ed in cinque ondate successive da lata quota e “a tappeto” colpirono il Consorzio Agrario e moltissime case in una vasta zona attorno a via Colombo.
Dopo aver messo a ferro e fuoco la zona est della città, lasciarono cielo libero ai B.17 “Flying Fortress”, le “Fortezze Volanti”, che dovevano fare altrettanto sulla zona ovest.
Alle 12,05, infatti i B.17 si presentarono su Sant’Antonio a Trebbia. Lo sorvolarono in tre ondate. Nella prima colpirono le case all’ingresso del paese verso il ponte di Trebbia tra cui la caratteristica casa detta “’l Burlòsc” ed il quartiere della “Cirenaica”. Nella seconda, il centro dell’abitato si trasformò in un inferno. Furono distrutti quasi tutti gli edifici tra l’antica chiesa parrocchiale e la caserma.
Centrarono e distrussero il retro dell’osteria con privativa di sale e tabacchi di “Masamò”, casa Grandi, le case di “Dolfo” il falegname, la casa con officina per auto Lodigiani, la casa Montanari, il vicolo dell’Ortolano e casa Delli Antoni con osteria e laboratorio di falegnameria.
Fu miracolosamente risparmiata la chiesa anche se alcune bombe le caddero vicinissime. Il campanile con la punta a cono fu preso dai piloti come punto di riferimento per effettuare i lanci.
Nella terza ondata fu centrata la caserma, vero obbiettivo della missione. Sul paese caddero circa 30 tonnellate di esplosivo. Ci furono parecchie vittime tra la popolazione civile. Anche i feriti, tra cui molti bambini, furono numerosi.
I soccorsi arrivarono con ritardo e molte persone furono estratte dalle macerie anche dopo cinque, sei ore dall’incursione.
Capannoni, uffici e depositi della caserma furono spazzati via.
Qui i morti furono trentacinque, per la maggioranza profughi provenienti da altre zone e ricoverati in un capannone su cui cadde un grappolo di bombe.
S’innalzò un mostruoso fungo di polvere e detriti che offuscò per lunghi minuti la luce del giorno. Il paese fu improvvisamente avvolto da una densa coltre grigiastra in cui gravava una forte puzza di bruciato.
I miseri resti delle vittime furono trovati in un raggio di oltre quattrocento metri nella campagna oltre il muro di cinta della caserma.
Fu la giornata più nera di tutta l’ultramillenaria storia di Sant’Antonio.
Nelle poche famiglie in cui, per dimenticare per qualche ora gli stenti della guerra si era riusciti con grande sacrificio a preparare il pranzo della Madonna del Rosario come voleva la tradizione, non si mangiò l’anitra arrosto.
Complessivamente, su Sant’Antonio e sul Consorzio Agrario ceddero 936 bombe per un totale di 230 tonnellate.
Durante la massiccia incursione del 1° ottobre esordirono anche i nuovi cannoni della FLAK (contraerea tedesca) piazzati sulla sponda lombarda del Po.
Due aerei alleati vennero colpiti ed uno dei piloti, che era riuscito a paracadutarsi, atterrò nei pressi di Castell’Arquato e si salvò rifugiandosi in zona partigiana.
La notizia dei bombardamenti “a tappeto” del 30 settembre sui ponti del Po e sullo scalo merci della stazione ferroviaria, e del 1° ottobre ai Molini degli Orti, sul Consorzio Agrario e a Sant’Antonio a Trebbia, comparve su “La Scure” tre giorni dopo – in un capoverso di una decina di righe – in un lungo “editoriale” del direttore Armando Scalise che scrivendo dell’odio della popolazione “contro gli assassini dell’aria” accennava così all’incursione: “I prodromi si erano già avvertiti sabato 30 settembre e domenica ° ottobre con un apparato di oltre 150 apparecchi, ad ondate successive, il nemico ha voluto ancora una volta insanguinare questa nostra nobile città di Piacenza, nella quale l’assenza di veri e propri obbiettivi bellici, ha inteso colpire il cuore travagliato di umile gente impossibilitata a trovare asilo altrove”.

(Piacenza, una città nel tempo – vol. II – Mori/Galeazzi – ed. Tip.Le.Co.)
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