Aprile 1945 - Parrocchia Sant'Antonio a Trebbia

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Aprile 1945

Storia > La 2^ Guerra Mondiale
26/4/1945 Su Sant’Antonio puntarono i ribelli della I e II compagnia dell’VIII brigata, al comandodi Antonio Maestri, ed elementi della IV brigata. Vi arrivarono nel pomeriggio del 26 aprile, sotto la pioggia. Immediatamente la popolazione locale si riversò sulla strada per abbracciare i patrioti. Dopo circa mezz’ora che i partigiani si trovavano a Sant’Antonio, arrivò da San Nicolò un blindato seguito da un gruppo di soldati tedeschi e mongoli della Turkestan e della Rsi con mitraglie sulle spalle. Ricorda il partigiano Nando Franchini che si trovava a Sant’Antonio: ”Nel tardo pomeriggio, avvistammo un razzo bianco salire nel cielo, era stat sparato da San Nicolò, in quel momento eravamo sette o otto uomini. In quella zona ci era stata segnalata la presenza di un blindato fascista: forse in fuga, cercava di rientrare a Piacenza. Il razzo bianco era per noi un segnale convenzionale di resa, e infatti dopo pochi minuti proveniente da San Nicolò apparve il blindato”. I partigiani, attendendo l’arrivo dell’autoblinda, si disposero sui due latti della strada sotto la pioggia battente. Franchini, Maestri e un paio di compagni si piazzarono sulla destra della via Emilia, in direzione di Piacenza, mentre Giuseppe Corsi detto Pinello, Giovanni Botti e Mario Garioni e altri partigiani sulla sinistra; alle loro spalle c’era un canale. Nel gruppo partigiano c’erano anche due disertori tedeschi: Otto e Werner della II compagnia dell’VIII brigata che si posizionarono presso le prime case del paese. Il blindato si fermò quindi a breve distanza dai partigiani.
Rammenta Franchini: “Sulla torretta aveva la bandiera bianca, segno di resa. Smontò dal blindato un ufficiale che aveva a tracolla un mitra. Io mi sono avvicinato con i miei compagni, ormai certi che quelli volessero arrendersi. Invece l’ufficiale, forse resosi conto che eravamo in pochi, ha pensato di sfruttare l’occasione per raggiungere la città. Ha fatto un passo indietro ed ha aperto il fuoco subito imitato dal milite sulla torretta. Sono stato colpito e mi sono accasciato.”. Mario Garioni e Giuseppe Corsi, non appena videro i tedeschi, fra cui mongoli della Turkestan, e i fascisti sparare all’impazzata con i mitra e la mitraglia della torretta, si scaraventarono nel canale antistante la strada dove l’acqua arrivava al petto. Gli altri tentarono di fuggire in direzione della ferrovia. Fra questi Antonio Botti 19 anni di Agazzano, dell’VIII brigata della divisione Piacenza, che probabilmente raggiunto dalle prime raffiche di mitraglia non fece neppure in tempo a girarsi; colpito al petto rimase a steso a terra senza vita. Fu insignito della medaglia d’argento al valor militare. I tre partigiani gettatisi nel canale si immersero sotto l’acqua nel tentativo di sfuggire ai proiettili e trattenendo il fiato scesero lungo il canale. Di tanto in tanto emergevano per prendere fiato per poi immergersi di nuovo in cerca di aria, e poi sotto, continuando a nuotare nell’acqua. Uno dei mongoli, nel tentativo di raggiungere i fuggitivi, precipitò nel canale poco lontano dai partigiani. I fuggiaschi raggiunsero le prime case, dove a protezione della condotta sotterranea vi era un’inferriata ben fissata al terreno, vani furono i tentativi di smuoverla. Corsi disse: “Io vado su” e Mario: “Stai qui, non andare su”, ma Corsi, pensando forse di potersi rifugiare in un vicino cortile, balzò dal canale e una raffica lo raggiunse in pieno petto, ributtandolo nell’acqua fra le braccia dei compagni dove spirò; aveva 19 anni, era di San Rocco al Porto e apparteneva alla IV brigata della divisione Piacenza.
Sull’altro lato della strada Mario Maestri e Cantalupo si gettarono prima sull’asfalto e rotolarono poi nel canale antistante la strada, riuscendo a raggiungere le prime case ed a infilarsi in un cortile; nello stesso tempo sopraggiunse il blindato che si piazzò proprio di fronte alla casa nel cui cortile avevano trovato rifugio i partigiani.
Da dietro il corazzato si sfilarono tre mongoli che raggiunsero l’androne della casa. Maestri se li trovò davanti e tentò di aprire il fuoco con il suo mitra, ma l’arma s’inceppò, il fango del canale l’aveva bloccata. Fu più fortunato Cantalupo, un istante per prendere la mira e lasciò partire un colpo dal suo fucile che centrò in pieno uno dei tre mongoli, che crollò a terra senza vita; gli altri due, visto il compagno cadere, fuggirono precipitosamente. Contemporaneamente il blindato fu preso di mira da Angelo Sanguini di Castelsangiovanni, di soli 15 anni, il quale fece partire un colpo di bazooka che si schiantò a diversi metri dalla blinda. Lo stesso i tedeschi-partigiani Werner e Otto che spararono con i loro bazooka e mancarono di poco il blindato. A quel punto il comandante del drappello nazifascista ordinò prudentemente la ritirata, temendo altri colpi di bazooka che avrebbero potuto distruggere l’autoblinda. La notizia del tragico esito del combattimento fu portata al comando partigiano della Pistona da Giulio Groppi: tre morti (due partigiani e un mongolo) e due feriti tra i partigiani. L’intero combattimento durò un minuto, un minuto e mezzo al massimo. Attimi interminabili per il ferito Franchini che giaceva in mezzo alla strada udendo gli strilli dei mitri e il fragore prodotto dai bazooka. Con gli occhi socchiusi poté notare gli stivali del nemico muoversi nervosi sull’asfalto schizzando acqua: “Pioveva a dirotto e il mio sangue mescolandosi all’acqua sembrava tantissimo. Ero steso sull’asfalto a pochi chilometri da Piacenza colpito in pieno da una raffica di mitra. Trattenevo il respiro pensando: Adesso i fascisti mi amazzano. Ho chiuso gli occhi pensando che non avrei mai visto Piacenza liberata”.
Mancavano meno di 48 ore alla liberazione di Piacenza. Franchini udì concitate voci tedesche e italiane e sentì il blindato sferragliargli accanto dirigendosi verso la città. Era stato colpito alle gambe, un proiettile gli aveva trapassato una coscia e un altro proiettile gli aveva spezzato il femore dell’altra gamba. Sul luogo dello scontro calò improvvisamente il silenzio. Solo il rumore della pioggia. “Non saprei dire per quanto tempo rimasi in quelle condizione” rammenta Franchini, “non potevo muovermi. Pensavo che i miei compagni si fossero dimenticati di me. Infine arrivarono, era forse passata mezz’ora, forse un’ora”.
Stava ormai calando la sera e quanto i partigiani tornarono sul posto trovarono il loro compagno ferito e lo trasportarono all’ospedale di Borgonovo, dove rimase fino alla fine del mese di giugno. La salma di Giovanni Botti fu trovata solo il giorno successivo.

(Piacenza liberata – Ermanno Mariani – edizioni Pontegobbo)

In serata i combattimenti proseguirono anche a Piacenza. In particolare non si diedero per vinti i partigiani che si trovavano sull’asse Sant’Antonio-barriera Torino. Da quel lato l’avanzata risultò più difficoltosa. Mentre i ribelli riuscirono a penetrare in via Colombo e anche in via Manfredi, per via Emilia pavese non ci fu niente da fare. Ogni manovra di avvicinamento a barriera Torino fu sconsigliata dalla voce di una mitragliatrice tedesca da 20 mm piazzata all’interno della Pertite. Qui infatti vi era un forte nucleo di tedeschi che battè con la mitraglia dalla Pertite fino a Sant’Antonio e che tenne inchiodati i giellisti della V sul Canale della fame fin dal mattino. D’appoggio alla 20 mm, vi era anche una mitragliatrice più piccola. I partigiani della V brigata lungo il Canale della fame, alla quale si erano aggiunti altri ribelli, si spostavano continuamente per non offrire un bersaglio fisso. Di quel combattimento ricorda il partigiano Roberto Zambianchi della II brigata: "…Vidi tre partigiani al di là della strada nel fosso laterale della via Emilia pavese che, mentre trascinavano una piccola mitragliatrice, cercavano di avvicinarsi il più possibile alla montagnola dov’era piazzata la 20 mm. Per un po’ riuscimmo a vederli, poi li perdemmo di vista a causa del buio… Mentre stavamo seguendo l’azione, senza riuscire a vedere molto e senza partecipare al fuoco, essendo la nostra distanza notevole e mancando di un obiettivo preciso, il cielo ad un tratto si illuminò come in pieno ghiorno, rischiarato dai bengala lanciati in gran numero dai tedeschi, mettendo allo scoperto purtroppo i tre partigiani, nonostante si fossero appiattiti nel canale. La distanza era talmente breve che fu impossibile il benché minimo tentativo di sottrarsi alla sventagliata della mitragliatrice. Alla vista dei nostri compagni colpiti, tutti i partigiani accampati lì attorno aprirono il fuoco con i fucili e i farfalloni, sfruttando i chiarori degli ultimi bengala, riuscendo a far tacere la terribile 20 mm. Si sparava a casaccio, mirando verso il punto dal quale veniva la luce intermittente degli spari tedeschi che manovravano la mitragliera. Nel buio si vedeva una fantasmagoria di cie luminose lasciate dalle pallottole traccianti seguite da un fracasso indiavolato che non cessò fin quando non tacque anche la 20 mm. Qualcuno azzardò la proposta di andare a riprendersi i partigiani colpiti, nel caso vi fosse qualcuno di loro ferito, ma fu subito zittito dal nostro comandante che aveva seguito tutta l’azione e aveva visto i partigiani colpiti a morti con un cannocchiale speciale a raggi infrarossi".
I caduti di quello scontro furono quattro: Domenico Dalla Fiore 21 anni di Rovescala di Pavia, Giovanni Taschieri 18 anni di Arena Po, Remo Tamoglia 20 anni di Nibbiano, Francesco Possidenti 21 anni di Acqua Formosa di Catania, appartenenti tutti alla V brigata della divisione Piacenza. Altri due partigiani della V brigata, Bazzoni e Longhi, rimasero gravemente feriti. Difficile stabilire quali furono colpiti in giornata e quali nella serata. "Non ci è possibile avvicinarci ai nostri compagni caduti" rammenta tragicamente il comandante Comolli che nella sua relazione confermò i quattro caduti più i due feriti, "se non quando il nemico cessa l’intensità della sua sparatoria contro di noi ed abbiamo quindi dovuto dolorosamente attendere per non dover subire inutili perdite". Di alcuni caduti in serata nei pressi del Canale della fame scrisse anche don Giulio Zoni che, arrivato con i partigiani in città, finì anche lui sotto il tiro delle mitraglie tedesche: "…Improvvisamente si senti una sparatoria infernale, vedemmo alcuni nostri amici cadere… Il fuggi-fuggi fu generale, la confusione indescrivibile. Fu un momento tremendo di grande panico, sparavano da tutte le parti. Con me era il dottor Ginetto Bianchi, farmacista di Bettola, vicecomandante di una formazione partigiana della Valnure e un altro giovane di cui non ricordo il nome. Impauriti ci guardammo in faccia e, senza pronunciar parola, ci gettammo nel Canale della fame ch’era pieno d’acqua fino al collo. Di lì risalimmo a fatica la corrente e in breve tempo riuscimmo ad uscire dal tiro infernale del nemico…". Un altro partigiano ucciso in combattimento fu Giovanni Ferri 39 anni, aggregato al comando della divisione Piacenza. Cadde anche un partigiano russo, Gaspare Mamendorf.

(Piacenza liberata – Ermanno Mariani – edizioni Pontegobbo)

27/4/1945
Probabilmente quella stessa mattinata furono passati per le armi due combattenti della Rsi, prelevati nelle loro abitazioni alla periferia di Piacenza dai partigiani e portati a Campo Madonna. Si trattava del maresciallo Alberto Del Rocino 32 anni di Atri (Te), che abitava a Sant’Antonio, e del vicebrigadiere Gaetano Surano 37 anni. Entrambi furono fucilati.

(Piacenza liberata – Ermanno Mariani – edizioni Pontegobbo)
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